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Decreto trasparenza, una trasparenza molto opaca

Un "testo-beffa" lo definisce Giglioli in questo articolo sull'Espresso, riferendosi al decreto Madia che dovrebbe dotare anche l'Italia di una legge che renda reale il diritto dei cittadini di "sapere". E magari anche controllare, dato che l'Italia è al secondo posto  in Unione Europea per  corruzione percepita (1)  e che una

areoplanino nel nero

Un “testo-beffa” lo definisce Giglioli in questo articolo sull’Espresso, riferendosi al decreto Madia che dovrebbe dotare anche l’Italia di una legge che renda reale il diritto dei cittadini di “sapere”. E magari anche controllare, dato che l’Italia è al secondo posto  in Unione Europea per  corruzione percepita (1)  e che una lunga serie di vicende giudiziarie ha dimostrato che la politica e il sistema amministrativo hanno  ben pochi anticorpi. Restano così, oltre alla magistratura, solo altre due categorie di “sentinelle anticorruzione”: giornalisti e cittadini.  Che, se diventerà definitivo  questo decreto – il Consiglio dei ministri l’ha già approvato “in via preliminare”, ma lo deve rivotare a fine aprile  dopo i pareri delle Camere – avranno ancora meno possibilità di prima di verificare la correttezza e l’interesse pubblico degli atti amministrativi.  Infatti anche “L’Espresso” “si unisce alle perplessità verso l’attuale formulazione del decreto, che impedendo un vero accesso ai dati ostacolerebbe anche il lavoro di inchiesta giornalistica”. Invitiamo tutte le associazioni e i comitati che da sempre si battono per un’amministrazione trasparente a unirsi a noi per avviare iniziative comuni per sensibilizzare l’opinione pubblica e fare pressione su Governo e Parlamento. (AMBM)

In calce il parere  assai critico  sul decreto trasparenza del  Consiglio di Stato (18 febbraio 2016)   e la sintesi realizzata  da FOIA Italia (A cura di Thaya Passarelli)

Renzi, nel suo discorso d’insediamento alla Camera, si impegnò in una promessa nuova e radicale: «Ogni centesimo speso dalla pubblica amministrazione deve essere visibile a tutti: questo significa non solo il Freedom of Information Act ma un meccanismo di rivoluzione nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione per cui il cittadino può verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio rappresentante». Splendide parole: a cui tuttavia per ora ha fatto seguito solo questo testo-beffa, espressione del ministero per la Semplificazione guidato da Marianna Madia.

Foia: trasparenza sì, purché opaca

Il decreto Madia sull’accesso agli atti dello Stato è una beffa. E un 
arrocco della politica nei suoi segreti. Adesso c’è un mese per cambiarlo DI ALESSANDRO GILIOLI  29 marzo 2016
All’articolo 6, comma 5, il testo recita così: «Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta». Sembra uno scherzo, invece è il decreto legislativo “sulla trasparenza”, all’italiana. Che prevede appunto il silenzio-diniego: cioè consente allo Stato di non rispondere ai cittadini che vogliono avere accesso ai dati della pubblica amministrazione, senza fornire alcuna motivazione e senza alcuna sanzione per il proprio rifiuto. Ma non è finita: subito dopo, nella norma si aggiunge che non c’è alcuna chance di ottenere risposta se la domanda può essere intesa come relativa a «sicurezza pubblica e nazionale, difesa e questioni militari, relazioni internazionali, interessi economici o commerciali di una persona fisica o giuridica» e molte altre eccezioni la cui vaghezza tiene il più ampio possibile l’ambito dei “non se ne parla”. Ed è ovviamente la pubblica amministrazione a decidere se questa attinenza c’è o no.

Doveva essere il Freedom Information Act italiano, cioè la norma per dare ai cittadini il “diritto di sapere”: quali immobili possiede un Comune, ad esempio, e a chi li affitta a quali prezzi; o quanto è costato ai contribuenti il viaggio di un ministro su un “aereo blu” o il ricevimento per l’inaugurazione di un cantiere. Ma anche quali sono stati i criteri di assegnazione di un appalto e quali i tempi per la sua realizzazione; quanti veleni ci sono nell’aria e nell’acqua di una città; come sono stati spesi gli investimenti promessi dai politici nelle loro dichiarazioni; per quali motivi e con quali compensi è stata assegnata una consulenza a spese dei cittadini; chi si è intascato gli orologi regalati da un governo straniero durante un incontro di Stato; chi ha deciso di velare le statue a Roma durante la visita di un leader estero. E così via.

In tutto il mondo sono quasi 100 i Paesi che hanno adottato un Freedom of Information Act. La Finlandia ce l’ha dal 1951. Gli Stati Uniti dal 1966: quando l’opinione pubblica voleva avere più informazioni sull’andamento e i costi della guerra nel Vietnam. Nel Regno Unito esiste dal 2000. Negli ultimi 15 anni leggi simili sono state varate pure in Zimbabwe, Ruanda, Uganda, Nigeria, Guinea, Tunisia, Bangladesh e Nepal.

In Italia invece la politica ha fatto a lungo finta di niente. Anzi, nel 2011, Berlusconi e Alfano firmarono un decreto per secretare molti atti del loro governo. Renzi, nel suo discorso d’insediamento alla Camera, si impegnò in una promessa nuova e radicale: «Ogni centesimo speso dalla pubblica amministrazione deve essere visibile a tutti: questo significa non solo il Freedom of Information Act ma un meccanismo di rivoluzione nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione per cui il cittadino può verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio rappresentante». Splendide parole: a cui tuttavia per ora ha fatto seguito solo questo testo-beffa, espressione del ministero per la Semplificazione guidato da Marianna Madia.

Il Consiglio dei ministri l’ha già approvato “in via preliminare”, ma lo deve rivotare a fine aprile, dopo i pareri delle Camere: ci sarebbero quindi ancora i margini per correggerlo profondamente. Del resto anche il Consiglio di Stato ha fatto presente quanto sia paradossale una legge “sulla trasparenza” così opaca. Secondo Foia4Italy, associazione che da anni si batte per un Freedom of Information Act nel nostro Paese, «questo testo sembra disegnato apposta per scoraggiare la pubblicazione e penalizzare l’accesso». Mentre per Transparency International solo «l’accesso completo agli atti della pubblica amministrazione è un’arma per combattere la corruzione».

“L’Espresso” si unisce alle perplessità verso l’attuale formulazione del decreto, che impedendo un vero accesso ai dati ostacolerebbe anche il lavoro di inchiesta giornalistica .

29 marzo 2016

rapporto corruzione percepita 2016

 

intestazione consiglio di stato su  FOIAle osservazioni del Consiglio di Stato del 18 febbraio 2016 scarica il documento Decreto trasparenza, Consiglio di Stato 18 febbraio 2016

(dal sito di FOIA ITALIA)

Consiglio di Stato: il Decreto Trasparenza è da rivedere

Bene il principio, dubbia l’efficacia concreta soprattutto in fase di applicazione.

Il Consiglio di Stato, come previsto dall’Articolo 1.2 della Riforma della Pubblica Amministrazione, ha espresso il suo parere in merito al Decreto Trasparenza sollevando numerose perplessità e avanzando diverse proposte di modifica. Tecnicamente, il parere non è vincolante per il Consiglio dei Ministri che dovrà approvare la legge entro fine aprile, ma dà indicazioni che possono essere recepite.

Pur apprezzando e sostenendo, infatti, l’introduzione di una norma che renda la pubblica amministrazione “trasparente come una casa di vetro”, il Consiglio di Stato, in linea con quanto già individuato da FOIA4Italy, ha evidenziato le numerose manchevolezze e incongruenze di un testo definito non in tutte le sue parti “facilmente intellegibile e di piana ed agevole lettura”.

Un’evoluzione importante è sicuramente il riconoscimento, al pari dei sistemi di Freedom of Information Act anglosassoni, di un vero e proprio diritto alla richiesta degli atti in mano alle pubbliche amministrazioni: ciò può realizzarsi a qualunque fine, senza obbligo di motivazioni e soprattutto senza la necessità che il richiedente abbia un interesse “diretto, concreto e attuale” come previsto dalla legge 241/1990 che attualmente regola l’accesso ai documenti amministrativi.

Tuttavia il Consiglio di Stato è molto chiaro su un punto: questo principio rischia di rimanere lettera morta se non accompagnato da modifiche al testo e da una grande attenzione alla fase di attuazione.

PROCEDURE PIÙ SEMPLICI

Innanzitutto il Consiglio di Stato definisce “incongruo” l’obbligo in capo ai cittadini di “identificare chiaramente” i documenti, i dati o le informazioni di cui hanno bisogno: come potrebbero d’altronde conoscere la collocazione di documenti in archivi ai quali non hanno accesso?

Il Consiglio di Stato aggiunge poi l’esempio “della richiesta di notizie circa la situazione affittuaria di un immobile di proprietà di una amministrazione pubblica, per il quale potrebbe essere pretesa l’indicazione dei dati catastali al fine dell’esercizio del diritto di accesso civico.”

Più corretta sarebbe, invece, la richiesta di un’identificazione della “natura ed oggetto” dei documenti desiderati.

Le procedure di richiesta devono essere, inoltre, più semplici, privilegiando l’invio telematico e individuando un unico ufficio-sportello segnalato sul sito di ogni amministrazione (“una sorta di desk telematico unico per la trasparenza”) che si occupi di raccogliere e gestire in prima istanza le richieste di accesso inviate dai cittadini.

In questo modo si abbatterebbero i  tanto temuti costi per le Pubbliche Amministrazioni “fino forse a renderli irrilevanti” e a permettere l’eliminazione nel decreto della richiesta ai cittadini di rimborsare i costi sostenuti dalle pubbliche aministrazioni.

SILENZIO RIGETTO e SANZIONI

Particolarmente dura è la posizione sul silenzio-rigetto e sulla mancanza di qualsiasi obbligo da parte delle pubbliche amministrazioni di fornire una motivazione in caso di rifiuto o di mancata risposta.

Il silenzio-rigetto – ovvero il principio secondo il quale “se la pubblica amministrazione non ha risposto entro 30 giorni, la richiesta si intende rifiutata” – viene, infatti, definito “un istituto non poco problematico dal punto di vista della partecipazione dei cittadini alla vita amministrativa” soprattutto se accoppiato con la mancanza di un obbligo di motivazione.

Il Consiglio di Stato definisce esplicitamente un paradosso il fatto che una legge che intende promuovere la trasparenza neghi ai cittadini la possibilità di conoscere in maniera trasparente gli argomenti in base ai quali non gli è stato accordato l’accesso richiesto.

In assenza anche di “chiare disposizioni sanzionatorie” a carico dell’amministrazione che neghi l’accesso agli atti in mancanza di solidi e verificabili presupposti, il cittadino torna così alla complicazione di partenza: trascorsi invano trenta giorni, non gli resta che “l’onerosa incombenza di agire in giudizio per vedere riconosciute le proprie ragioni, senza peraltro conoscere quelle per cui l’amministrazione gli ha negato determinate informazioni”.

Questo, aggiunge il Consiglio di Stato, “rappresenterebbe un evidente passo indietro rispetto alla stessa legge n. 241 del 1990 e al generale obbligo di motivazione dalla stessa previsto”: sarebbe dunque doverosa l’espressione di una motivazione, anche se in forma sintetica.

ECCEZIONI

Altra osservazione è la previsione di “numerose e non sempre puntuali” eccezioni a tutela di interessi pubblici e privati che rendono, di fatto, dubbia la concreta efficacia del decreto.

La mancanza di criteri più dettagliati, infatti, lascia troppo spazio alla discrezionalità delle pubbliche amministrazioni e rischia di fare insorgere ulteriori contenziosi in tematiche sensibili quali ad esempio, le “questioni militari” o le “relazioni internazionali.

Una soluzione, secondo il Consiglio di Stato, potrebbe essere la redazione di linee guida che chiariscano meglio come applicare tali eccezioni.

APPLICAZIONE

Il Consiglio di Stato evidenzia la rilevanza cruciale della ‘fase attuativa’ del Decreto Trasparenza: in molti casi, infatti, “i problemi della pubblica amministrazione dipendono dalla cattiva o mancata attuazione delle leggi, se non dall’eccesso o dal disordine di esse”.

Per questo viene suggerita la creazione di una “cabina di regia” che garantisca piena attuazione al decreto e coordini le parti coinvolte: secondo il Consiglio, tale cabina “potrebbe vedere la partecipazione non soltanto delle strutture ministeriali volta per volta coinvolte, ma anche di quelle responsabili per la formazione, la comunicazione istituzionale, l’informatizzazione, nonché di tutti gli altri soggetti pubblici, anche indipendenti, coinvolti”

In secondo luogo si invita l’Esecutivo ad aprirsi “all’ascolto di voci esterne” tramite l’utilizzo dello strumento delle audizioni o la ricezione di “pareri scritti provenienti da soggetti, anche privati, rappresentativi dei destinatari degli schemi di normativa”.

Nelle prossime settimane sono attesi i pareri, sempre non vincolanti, del Parlamento e della Conferenza Stato-Regioni sul testo del decreto.

 

(1) http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/27/rapporto-corruzione-2015-transparency-italia-penultima-in-unione-europea-e-61esima-al-mondo/2406917/

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Fonte : carteinregola.it apri l’articolo originale

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