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Slam – Tutto per una ragazza

Tutto per una ragazza?

di Andrea Molaioli. Con Ludovico Tersigni, Barbara Ramella, Jasmine Trinca, Luca Marinelli, Fiorenza Tessari Italia 2016

Samuele “Sam” (Tersigni) ha 16 anni, ama lo skate, coltiva il mito di Tony Hawk (voce narrante) non solo come skateboarder ma anche come maestro di vita e vive con la madre, Antonella (Trinca), giovanissima (lei lo ha concepito all’età che ha lui adesso con il coetaneo Valerio (Marinelli), immaturo e un po’ coatto, che se ne è tornato a casa dai suoi poco dopo il parto). Anche la madre (Lidia Vitale) di Antonella, peraltro, la aveva avuta a 16 anni. Una sera lei si fa accompagnare dal figlio ad una festa da suoi amici alto-borghesi (Tessari e Pietro Ragusa); qui lui conosce la loro figlia Alice (Ramella) e comincia a frequentarla. Al secondo appuntamento lei lo porta a casa e, superate le sue timidezze (lei ha già avuto un fidanzato, lui invece è ancora vergine), ci fa l’amore. Diventano indivisibili ma, a un certo punto, senza un motivo, lui la lascia; dopo poco Alice lo convoca per comunicargli di avere un ritardo di tre settimane. Sam, in preda al panico scappa di casa per andare al mare, qui viene coinvolto in un party clandestino in una villa disabitata, fermato dalla polizia e raggiunto al commissariato dalla madre. A lei ed al padre racconta di essere ancora sconvolto dalla loro separazione ma, quando Alice gli conferma di essere incinta, spaventato e confuso, chiede il loro consiglio; la madre lo incita a scegliere con libertà mentre il padre lo spingerebbe a seguire il suo esempio e fuggire. I genitori di lei cercano di convincere la figlia ad abortire ma Alice è irremovibile: terrà il bambino. Sam, angosciato, fa due sogni: nel primo vive con Alice e il neonato – che si chiama Ufo – insieme ai genitori di lei, dove lui è sopportato a malapena, nel secondo, vive ancora nella materna, Antonella si è messa stabilmente con l’ultimo dei suoi numerosi fidanzati, Marco (Fausto Maria Sciarappa) con il quale ha una bambina e lui deve portare il piccolo Ufo duenne a fare le vaccinazioni. In realtà erano sogni premonitori: il bambino si chiama, in realtà, Rufus – dal nome del cantante Wainwright, il cui brano Sometimes you need ha accompagnato il parto – (Ufo sarà il suo soprannome), lui va a vivere da Alice ma – spinto da Valerio – un giorno, complice un’incipiente influenza che potrebbe contagiare il piccolo, torna dalla madre – che vive davvero con Marco ed ha una bambina- e lì resta e un giorno in cui va a riportare Rufus a casa dopo una vaccinazione, i due hanno un ritorno di fiamma e vanno a letto. Nell’entusiasmo della ritrovata intesa sessuale, sembrano decidere di tornare insieme ma l’irruzione della madre di lei li riporta alla realtà: sono troppo diversi. Pochi anni dopo alla festa di compleanno del bambino, tutti e due hanno nuovi compagni ma, con la scusa di andare a prendere la torta, si appartano a fare l’amore: sono perfetti, l’uno per l’altra, come amanti.

Il cinema italiano fa molti sforzi per accattivarsi il pubblico pregiato dei giovani e qualche volta, raramente, ci riesce (Smetto quando voglio, Lo chiamavano Jeeg Robot, in parte Scialla!). Spesso però cade in stereotipi di un giovanilismo di maniera, deformato da politicismi di altre generazione, anche in questo lontane anni luce dalle attuali. E’, sostanzialmente, il caso di Non è un paese per giovani, la cui idea Veronesi ha tratto dall’omonima trasmissione che ha condotto su Radio2 con Massimo Cervelli, prendendo spunto dalle tante dichiarazioni di ragazzi andati a lavorare all’estero. La scelta di Cuba (non è certo il primo paese in cui si può pensare di fare fortuna) travisa il punto di partenza e tutto il racconto va avanti per impervie iperboli (la ragazza fuori di testa, gli incontri clandestini – un po’ Van Damme e un po’ Il cacciatore – il pescatore hemingwayano, il trans dal cuore d’oro), sino ad un irreale happy end. I giovani e il loro vero mondo sono così poco centrali nel film che le poche scene d’effetto sono affidate ai veterani Rubini e Frassica, con il loro collaudato repertorio, quando non a battute da filmetto anni ’80 (detto da Sandro in risposta alle avances del trans: ”Perché in Italia c’è crisi, lo devo prendere in culo io?!”). Diverso il caso di Slam, che, intanto, ha alle spalle il romanzo di Nick Hornby, uno degli scrittori più usati dal cinema (Febbre a 90°, Alta fedeltà, About a boy – Un ragazzo, L’amore in gioco, Non buttiamoci giù, E’ nata una star?), ben adattato dal regista con Francesco Bruni e Federica Rampoldi all’ambientazione romana. Qui, i ragazzi protagonisti – due gradevoli rivelazioni – sono piacevolmente credibili e l’esordiente Gianluca Broccatelli, un vero skateboarder, è divertentissimo nel ruolo del fumatissimo Lepre. Detto questo, anche il più riuscito Slam racconta dei ragazzi irrealmente romanzeschi (anche – ma non solo – per la derivazione letteraria). I primi incassi di entrambi i film, peraltro, non sembrano dimostrare che abbiano centrato il bersaglio. Magari c’entra il fatto che sia Veronesi che Molaioli abbiano, rispettivamente, 55 e 50 anni?

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