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Smart city, quando e perché non funzionano

La Commisione Ue pubblica un rapporto in cui analizza 300 casi di studio di smart city, di cui 10 fallimentari. La città intelligente non funziona quando si dimentica dei cittadini.

In Europa, e non solo, si sta investendo molto nel concetto di smart city. Un concetto ampio, che viene interpretato in modo diverso e che ha bisogno di idee, fondi e partnership per essere applicato. I progetti in atto sono tanti ma non tutti funzionano. Perché? Cerca di fare il punto della situazione in Europa, focalizzandosi sulle best practise e soprattutto sugli esempi fallimentari, un rapporto recentemente pubblicato dalla Commissione europea, Analysing the potential for wide scale roll out of integrated Smart Cities and Communities solutions (IN ALLEGATO).

Il report ha identificato 300 progetti di SCC (Smart Cities and Communities), di cui 200 europei e i restanti provenienti dal resto del mondo. Di questi, 80 sono stati definiti esempi di buone pratiche mentre 10 casi di studio sono stati presi come esempi fallimentari, con l’obiettivo di sintetizzare gli errori più comuni che vengono commessi al fine di evitarli.

Semplificando, la Commissione Europa, insiste su alcuni aspetti che non devono essere tralasciati:
• Le tecnologie devono rispondere sempre alle esigenze dei cittadini e devono poter essere utilizzate in modo semplice ed efficace
• I cittadini devono essere coinvolti per verificare l’accettazione e il gradimento di una soluzione innovativa, anche attraverso delle simulazioni
• I partenariati multi-stakeholder devono essere rafforzati. Le soluzioni SCC sono complesse e richiedono una collaborazione del settore pubblico con soggetti privati, che devono avere interesse, capacità e competenze per sviluppare i progetti.
• Il ruolo dell’Europa nella scelta e finanziamento dei progetti deve essere centralizzato. Anche al fine di verificarne i reali benefici economici

La tecnologia da sola non basta

L’innovazione tecnologica, si legge nel rapporto, è fondamentale ma da sola non basta e l’implementazione di nuove tecnologie non corrisponde necessariamente a un risultato di successo. La letteratura e i casi di studio analizzati dimostrano che spesso quando lo sviluppo tecnologico non va a braccetto con le reali esigenze degli utenti, le soluzioni sono destinate a non funzionare. E poi è necessaria l’integrazione dei settori, che in caso di una smart city devono essere: Energia, ICT, Mobilità e Trasporti. Almeno due di questi aspetti devono essere integrati in un progetto di città intelligente.

Non si può tralasciare la dimensione sociale e culturale

Ciascuno dei dieci casi di ‘fallimento’ rappresenta un esempio di soluzione SCC che integra in modo diverso il contesto e l’ambiente (tecnologico, politico-istituzionale, socio-economico / culturali, di gestione). L’analisi rivela che le soluzioni SCC spesso si concentrano principalmente sulla dimensione ICT, progettata intorno a tecnologie innovative, piuttosto che adattare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione alle dimensioni sociali e culturali. Progettare soluzioni a partire dai cittadini è forse la lezione più importante che si può imparare dalle esperienze del passato.

Worst practice: Copenaghen

In alcuni casi, sono stati riscontrati problemi nella scelta e nell’utilizzo della tecnologia. Questo è ad esempio il caso del progetto Better Place di Copenhagen (che l’Ue mette al primo posto nella classifica dei progetti fallimentari) dove la mancanza di una standardizzazione della catena legata ai veicoli elettrici ha contribuito al fallimento della soluzione. Un fallimento che non è tecnologico ma piuttosto legato a una mancanza di integrazione e a una pianificazione sbagliata.
Better Place, lo ricordiamo, è un progetto che si poneva l’obiettivo di sviluppare un nuovo modello di business della mobilità elettrica privata, basato sull’idea di offrire un servizio per la sotituzione rapida delle batterie, eliminando il problema delle lunghe attese per il rifornimento plug-in alle colonnine. Cosa non ha funzionato? I costi di gestione del progetto hanno superato ogni prospettiva, la soluzione si è rivelata incapace di integrarsi con le infrastrutture esistenti e soprattutto la soluzione non ha incontrato l’interesse dei cittadini, aspetto che ne ha limitato la diffusione. Il risultato è che, nel momento in cui le risorse pubbliche non sono più state stanziate, il progetto si è eclissato.

Le visioni utopistiche non premiano

Diversi altri progetti focalizzati sul raggiungimento di una visione quasi-utopistica a lungo termine si sono rivelati fallimentari proprio perché non hanno saputo coinvolgere la cittadinanza. E’ il caso della rete dei bus elettrici di Roma o la smart grid di Boulder.
Una visione eccessivamente ‘futuristica’ non viene compresa dalla popolazione, a meno che non si trovino dei canali di comunicazione adeguati. Ma questo non accade quasi mai, come dimostrano i progetti delle città che si stanno realizzando ex-novo di Tianjin e Suzhou Industrial Park, che non sono riuscite ad attirare i loro utenti finali. Perché appaiono come modelli astratti che poco o nulla hanno a che vedere con le reali esigenze dei cittadini.

Le città sono dei cittadini, non lo dimentichiamo

L’analisi suggerisce di seguire un approccio olistico, partendo dall’idea che il successo deriva necessariamente dall’integrazione fra tecnologie, istituzioni e soprattutto cittadini. Le città, anche se intelligenti, sono e rimangono entità sociali, luoghi dove i cittadini vivono e svolgono la loro attività. Qualsiasi novità deve quindi essere supportata dalla popolazione per poter funzionare.

rapporto dell_UE su smart city

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